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Nella Toscana del Seicento, l'incontro con uomini di fede islamica era un'esperienza molto più comune di quanto non si possa oggi supporre. A Livorno, in particolare, i numerosi schiavi «turchi» costretti a vogare sulle galere del granduca erano alloggiati in una struttura apposita: il Bagno. Gli abitanti di questo microcosmo carcerario non erano tuttavia isolati dal mondo, ma intrattenevano relazioni lecite ed illecite con l'esterno. Il «turco», pur rimanendo il nemico dall'aura terrificante che dominava di là dal mare, si rivelava anche come il facchino che portava l'acqua al mattino, il gestore di una bottega di barbiere, o lo stregone a cui ricorrere per risolvere i consueti mali d'amore.